A Cosenza, come nel resto d’Italia e nell’intero globo, la violenza del sistema patriarcale, che si consuma a scapito delle donne e delle soggettività non binarie, non è mai stata così subdola. Si insinua nelle coscienze, camuffandosi dietro ad espressioni confortanti quanto ingannevoli, le quali ci illudono di vivere in una società dove oramai le differenze e gli stereotipi di genere non esistono, o se non altro non scalfiscono la libertà individuale. La minaccia della violenza, in qualsiasi forma essa si manifesti, è determinata dal suo essere agita con astuzia e dall’essere narrata con altrettanta destrezza. La molestia sessuale è così imputata ad un presunto atteggiamento provocante della vittima, la responsabilità di uno stupro addossata alla donna che l’ha subito, perché eventualmente aveva bevuto un bicchiere di troppo o addirittura indossava un perizoma, che proverebbe
inconfutabilmente la natura consensuale del rapporto sessuale. Quanti femminicidi sono stati descritti nei tribunali e dai media come esito di raptus omicidi? Mariti e compagni assassini che improvvisamente non rispondevano più delle loro azioni, giudicati inabili di intendere e di volere e tutelati dal sistema giuridico e dall’opinione pubblica, entrambi miopi ed intrisi di retorica misogina. La violenza assume diverse sembianze, si manifesta con modalità cangianti a seconda
dell’istituzione, del gruppo sociale, dell’ambito professionale in cui viene esercitata e la difficoltà dismascherarla risiede nell’assuefazione sociale alle pratiche discriminanti e maschiliste della quale la
stragrande maggioranza è soggetta. Quante volte abbiamo subìto ingiustizie, discriminazioni,appellativi, apprezzamenti fuori luogo e molestie? Quante volte ci siamo scontrate con gli esiti dell’educazione dei generi binari e con le conseguenze degli stereotipi atti a giudicare,regolamentare e controllare i nostri corpi? Vogliamo considerare queste e molte altre domande come
punti di partenza per un’analisi individuale e collettiva, vogliamo sviscerare questi temi fino a sciogliere la ragnatela che il sistema patriarcale ha tessuto intorno a noi, intrappolandoci nella violenza delle istituzioni, dei luoghi comuni e dei ricatti economici. Pensiamo che questa lotta debba avere inizio dai territori che attraversiamo quotidianamente, a partire dalle contraddizioni e dagli abusi che riscontriamo ogni giorno negli ospedali, nei consultori, nei luoghi di lavoro, nelle strade e nelle relazioni sociali più e meno intime. Sentiamo la necessità di unire le nostre voci e le nostre forze per denunciare i disservizi sanitari che si ripercuotono sui nostri corpi, le negligenze egli interessi economici che ci impediscono di esercitare i nostri diritti in autonomia e libertà, vogliamo ribellarci ai ricatti del lavoro produttivo e riproduttivo, ai soprusi e alle molestie che subiamo nei nostri ruoli di impiegate, casalinghe, badanti, studentesse, ricercatrici, insegnanti, lavoratrici autonome, operaie e disoccupate. Crediamo nell’esigenza di respingere qualsiasi stereotipo di genere, ogni ruolo che ci viene imposto dal sistema economico e patriarcale che regola
le nostre vite. Dobbiamo scardinare i meccanismi di violenze fisiche e psicologiche della mascolinità tossica, le torture e i ricatti celati nelle mura di casa, dalle quali molte di noi hanno difficilmente scampo. Per tutte queste ragioni riteniamo urgente intraprendere un percorso di lotta
femminista a Cosenza, e lo vogliamo intersezionale, in quanto pensiamo che la discriminazione e la
violenza di genere provengano dalla matrice di un unico sistema, che è sessista, xenofobo, omofobo, che acuisce le disuguaglianze sociali ed economiche e si alimenta a scapito delle soggettività oppresse.




